lunedì 3 settembre 2012

Roberto Bolaño su PKD


Con rodrigo Fresan abbiamo parlato a lungo di Philip K. Dick, senza mai esaurire l'argomento, in bar e ristoranti di Barcellona o nelle nostre rispettive case.
Queste sono alcune delle conclusioni alle quali siamo giunti: Dick era uno schizofrenico. Dick era un paranoico. Dick è uno dei dieci migliori scrittori delo Novecento negli Stati Uniti, che non è dire poco. Dick era una specie di Kafka passato attraverso l'acido lisergico e la rabbia. Dick, nella Svastica sul sole, ci parla, come poi farà spesso, di quanto sia alterabile la storia. Dick è Thoreau più la morte del sogno americano. Dick scrive, a volte, come un prigioniero perché realmente, eticamente ed esteticamente, è un prigioniero. Dick è colui che più efficacemente si avvicina, in Ubik, alla coscienza o ai brandelli di coscienza dell'essere umano, e la sua messa in scena, la coesione fra quel che racconta e la struttura del racconto, è più brillante di certi esperimenti dello stesso genere usciti dalla penna di Pynchon o di DeLillo. Dick è il primo, in letteraura, a parlare con eloquenza della coscienza virtuale. Dick è il primo, e se non il primo il migliore, a parlare della percezione della velocità, della percezione dell'entropia, della percezione del rumore dell'universo in Noi marziani, nel quale un bambino autistico, come un Gesù Cristo muto del futuro, non fa altro che sentire e subire il paradosso del tempo e dello spazio, la morte verso cui tutti siamo avviati. Dick, malgrado tutto, non perde mai il senso dell'umorismo, e pertanto non è un discendente di Melville ma di Mark Twain, sebbenre Fresan, che conosce dick meglio di me, abbia qualche riserva su questo punto. Per Dick ogni forma d'arte è politica. Questo non va dimenticato. Dick è probabilmente uno degli autori più plagiati del Novecento. Secondo Fresan, La freccia del tempo di Martin Amis è un plagio spudorato di In senso inverso. Io preferisco pensare che Amis con questo romanzo renda omaggio a Dick o a qualche precursore dello stesso Dick (non dimentichiamo che suo padre, il poeta Kingsley Amis, coltivò la fantascienza e fu un grande lettore di questo genere letterario). Dick (insieme a Burroughs) è l'autore nordamericano di questi ultimi anni che più ha influito su poeti, romanzieri e saggisti non nordamericani. Dick è bravo perfino quando è scadente e mi domando, anche se so già la risposta, di quale autore latinoamericano si potrebbe dire la stessa cosa. Dick esprime il dolore con una potenza pari a quella di Carson McCullers. E tuttavia Valis è più inquitentante del più inquietante romanzo della McCullers. Dick, sembra, a volte, il re dei mendicanti, e altre volte il milionario nascosto e misterioso, e con questo forse ha voluto dirci che i due ruoli sono in realtà uno solo. Dick scrisse Cronache del dopobomba, che è un capolavoro, e nel 1962 rivoluzionò la nuova narrativa nordamericana con La svastica sul sole, ma scriesse anche romanzi che non hanno nulla a che vedere con la fantascienza, come le Confessioni di un artista di merda, scritte nel 1959 e pubblicate nel 1975, il che dimostra fin troppo bene qunato affetto l'industria editoriale nordamericana lo trattasse.
Ci sono tre immagini del Dick in carne e ossa che porterò sempre con me, insieme ai suoi innumerovoli libri. Prima immagine: Dick e tutti i suoi matrimoni, quello sperpero incessante in divorzi californiani. Seconda immagine: Dick e alcuni membri delle Pantere Nere che vanno a trovarlo a casa sua, mentre un'auto dell'FBI staziona dall'altra parte della strada. Terza immagine: Dick e suo figlio malato e le voci che sente nel cervello, che gli consigliano di tornare dal medico, di suggerirgli un altro tipo di diagnosi, una malatti molto rara, più grave, cosa che Dick fa, e i medici si accorgono di avere sbagliato, e operano d'urgenza il bambino e gli salvano la vita.

Roberto Bolaño, Tra Parentesi, Adelphi 2009, pp 193-194